In occasione della 52a Biennale di Venezia
L’Estonia inaugura la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia e, in questa occasione, gli artisti del Kursi Kool Kond Artists’ Group hanno ottenuto anche un padiglione collaterale presso la Galleria d’Arte III Millennio.
Inaugurazione della mostra
Espongono
Introduzione
Ancora una volta presso la Galleria d’Arte III Millennio sono lieto di ospitare artisti provenienti dall’Europa dell’est. Era stato nel 2004 con la collettiva dedicata ad una ricca e autorevole delegazione di artisti della Bulgaria, che presentai opere di grande pregio, ricordo tra i più noti, Blazhev, Roussev , Katsamunski, Yanakiev, Pamuckiev.
Come allora anche oggi ritorno a considerare l’arte dell’oriente europeo feconda patria di giovani talenti e rifugio di grandi maestri. Quando visitai Mosca, dieci anni fa feci una considerazione. Molti di noi, quando visitano i paesi che furono interessati dal regime sovietico si soffermano a osservare le differenze nello stile di vita, nei consumi quotidiani e, confrontando le abitudini occidentali con quelle di quei paesi, semplicemente esaltano queste ovvie differenze; ma in questo modo si sfiora solo la superficie.
Chi ragiona sul fatto che in tutti i paesi che rimasero chiusi nella cortina di ferro, l’attenzione verso musica, poesia, danza, e arte in genere è segnatamente più viva?
Pochi leggono libri in Italia, quanti di noi leggono poesie?
Ebbene, nell’Europa dell’est si vendono libri di poesie e si leggono poesie, e si va spesso a teatro per esigenze culturali e non per dar sfoggio di sé stessi. Questi sono gli interessi della classe medio/alta.
Pochi ascoltano musica classica in Italia, molti giovani dell’est ascoltano musica classica.
Quanti si dedicano alla danza con spirito di sacrificio e quanti alla pittura ed alla scultura con sincera esigenza spirituale e non solamente con il mito della fama e del rapido e facile successo?
Quando poi fui in Bulgaria, un paio di anni fa feci la medesima considerazione.
Forse dovremmo fare tutti una riflessione su quello che noi stiamo oggi offrendo della nostra società “avanzata” a coloro che facevano parte di quelle considerate arretrate. Almeno su certi aspetti della cultura più elevata.
Il Kursi Kool Kond Artists’s Group è una società di artisti che proviene dall’Estonia. Loro preferiscono definirsi un gruppo di amici ma, nei fatti, costituiscono una vera e propria scuola d’arte.
Pajos Priit; Pangseep Priit; Ilmar Kruusamae; Peeter Allik; Albert Gulk, espongono le proprie opere qui nella Galleria d’Arte III Millennio, mentre Marko Maetamm espone al padiglione dell’Estonia alla Biennale di Venezia. Gli altri esponenti del gruppo sono: Reiu Tuur; Imat Suumann; Kulli Suitsu; che non partecipano alla mostra.
Kursi Kool Kond Artists’s Group o Kursi School of art è una realtà dell’arte contemporanea estone che ha visto la luce nel 1988 ben 18 anni fa; un vero record se consideriamo che in genere queste aggregazioni di artisti hanno una vita media di 4 o 5 anni. Il gruppo sorge in un momento storico significativo, in cui si iniziano ad avvertire i primi sintomi della definitiva rottura della cortina di ferro che avverrà di lì a poco nel 1991.
Il gruppo ha intenzione di produrre opere che siano divertenti ed esaltino i lati grotteschi e ridicoli del mondo, senza alcuna pretesa di proselitismo o retorica politica ma le prime loro esposizioni hanno un effetto devastante sulla rigida censura di mosca e sugli equilibri dell’accademia estone. Tuttavia la seria scuola d’arte di tradizione e la voglia di cambiamento degli spiriti liberi producono risultati dirompenti e di sicuro risultato comunicativo. La rigida retorica è soppiantata da affabili e ironici riferimenti e sottili allegorie, il dialogo si fa piacevole, scherzoso, avvincente ma anche ricco di riferimenti all’emotività, alla psicologia, al dramma, alla teatralità, all’interpretazione della condizione umana.
Il collante che ha mantenuto coeso il gruppo è stato sicuramente un felice senso dell’amicizia e della fratellanza che accomuna queste persone. Quindi la condivisione profonda d’ideali e valori comuni. Tra questi il più importante, un valore che è anche alla base dell’attività della Galleria d’Arte III Millennio e cioè il modo di porsi nei confronti dell’atto creativo e dell’impulso che scatena questo atto. Non esistono pregiudizi, non esistono militanze e chiese, non esistono appartenenze e correnti prevalenti, non esistono dogmi né regole né esigenze di leadership. La prova è nel fatto che queste opere, se le osservate, non hanno nulla in comune tra loro.
Potrei affermare tuttavia che tutti loro sono accomunati da una caratteristica atavica dell’arte dell’est: la consapevolezza che esista una dimensione altra, non fuga dalla realtà ma la sensazione vivida della consistenza di mondi paralleli in cui abitano esseri fantastici o creature mitiche, luoghi da cui provengono i sogni e i colori, le luci dei tramonti e il nostro incomprensibile senso malinconico al tempo stesso tripudiante di gioia e eccezionalmente disperato. Imat Suumann afferma che, nonostante la contemporaneità consideri un tramonto kitsch, egli rimarrà sempre incantato dalla bellezza dei paesaggi naturali e che non potrà mai non riconoscere la bellezza che non può per definizione essere kitsch.
Ogni artista comunque cura e persegue la propria tensione creativa, senza condizionamenti reciproci che non siano di puro piacere e confronto paritetico. Vi sono ovviamente anche altri valori che tengono unito il gruppo e lo fanno crescere. Ad esempio una certa condivisibile polemica nei confronti della visione centralizzata dell’arte, nei confronti di coloro i quali ritengono che si possa fare arte contemporanea solamente vivendo e operando nelle grandi metropoli in cui tutto accade e che l’arte decentrata sia liquidabile frettolosamente come “arte provinciale”. Kursi è il nome di almeno 4 villaggi in Estonia, 4 piccoli villaggi…
Ed è in un piccolo villaggio che nasce il Kursi Kool Kond Artists’s group, proprio per rompere questi schemi mentali e adeguarsi ai tempi che cambiano, che lo si voglia o no, e che ci indicano il ruolo dell’arte quale aveva nella notte dei tempi: un fenomeno locale e diffuso, frutto del genio del singolo visionario che agisce guidato dal ragionamento induttivo e che in questo modo è in comunicazione ed in sintonia o in conflitto con l’universo. Insomma l’eroe romantico per eccellenza, libero e indipendente.
Ancora una volta appare l’eroe romantico, il lupo della steppa di Hermann Hesse. Di fronte a tale potenza e semplicità non c’è curatore che tenga, non c’è biennale che resista. Con una realtà del genere questi eventi di pretesa esposizione internazionale dello scibile artistico sono ridimensionati al loro vero ruolo di parziale esemplificazione se non di personalistica e parziale celebrazione. Lo scenario ideale per la rinascita culturale e la riaffermazione delle gallerie d’arte, numerose e distinte e indipendenti e delocalizzate ma connesse in rete, quale vero e valido intermediario per un pubblico che ha bisogno di essere nutrito più che stupito.
Un tempo gli artisti venivano reclusi nelle corti, poi venne l’epoca delle biennali che per gli stupidi sono il luogo in cui l’artista è riconosciuto come tale; ma, come già dissi , la vera affermazione dell’artista è con il pubblico, con la gente comune che è grata per la bellezza e la ricchezza che l’artista produce semplicemente dalle sue mani e che paga l’artista per acquistarne l’opera perché gli piace e la vuole con sé.
Questo può accadere ovunque, in una stalla come in un grattacielo ma c’era chi diceva che dai diamanti non nasce niente ma dal letame nascono i fiori. L’arte, e con questo so di esprimere anche il parere di Kursi Kool Kond, non è un fenomeno che si possa semplicemente etichettare e catalogare e quindi mettere in classifica o piegare alle esigenze di un singolo. Venezia ne è un esempio. È un’architettura organica, frutto dell’immaginazione di migliaia di piccoli costruttori e artigiani e architetti. Se fosse stata progettata e costruita da un solo, per quanto grande e geniale architetto, sarebbe stata orrenda ed inconfrontabile con la nostra attuale città.
Così è anche l’arte. Essa va appresa quotidianamente, è come l’acqua, non ha forma definita ma assume tutte le forme. L’unico suo principio è che si basa sull’attività cerebrale più profonda: l’istinto. Come tale alimenta il sogno e il mistero. Queste sono le lettere dell’alfabeto dell’arte.
Vorrei ora presentarvi gli artisti che espongono oggi. Sono artisti di diverse generazioni: il più giovane è nato nel 1971, il più anziano nel 1957, rappresentano quindi un bel pezzo di storia dell’arte contemporanea estone.
La prima impressione che ho avuto vedendo le loro opere è la sincera passione e la forza creativa. Sono artisti che lavorano sulle loro opere e non su quello che delle loro opere si dice. Qui non c’è nulla di gestuale, non si gioca sull’equivoco e sull’apparenza. L’arte di questi artisti è concreta tangibile apprezzabile con l’occhio e con la mano. Non si gioca su banali provocazioni o elementari segnali mono-toni. Si tratta di un’arte incontaminata.
Ancora non pervasa dalla malizia e dal cinismo di casa nostra e dall’american style, per questo qualcheduno con la smania di uniformarsi si affretterebbe a sorridere e a definirla provinciale e non internazionale.
È un’arte che cerca il mistero, che s’interroga su questioni fondamentali e non si disperde in cronache quotidiane, non s’incarica di lanciare segnali al mondo semmai con presunzione e perentorietà; non è un’arte che pretende di essere elevata sul piedistallo della nostra cronaca viscerale.
È un’arte che parla all’anima, al cuore. È mistica, simbolica, scenografica, ironica; come dev’essere chi intrattiene e vuole stupire affascinare ammaliare e quindi condurre al ragionamento libero.
L’Estonia è un paese di piccole dimensioni affacciato sul mar baltico, che ha avuto un passato molto travagliato e vive un presente difficile e duro. Anche per questo l’arte dell’Estonia è incontaminata. Non ha avuto ancora il tempo per divenire espressione od oggetto della subcultura dei media e del consumismo. È un’arte che convive con un ambiente fertile e fecondo perché irto di difficoltà e speranze, forse in contrasto con il nostro equilibrio sul filo della decadenza.
Non parlo male della nostra arte, il mio è un proposito polemico per accendere un possibile dibattito con chi le mostre le organizza ma non rischia nulla perché tace e non s’espone e non riflette apertamente con il pubblico ma lascia cadere la questione nel silenzio; e questo per me è male. Nelle tele di questi artisti e nella carta di questi artisti, sento l’odore del carbone che brucia nel camino, e vedo la bruma estesa sulla pianura umida, sento odore della terra. Vedo l’arte ancora intesa principalmente come lavoro dell’artigiano e quindi sublimazione dell’intellettuale. Saper scrivere per poi scrivere e quindi andare oltre la scrittura e così s’aprono mille sentieri da intraprendere.
Arte intesa come onesto lavoro creativo fatto di fatica e impegno fisico; concetti spesso lontani dalla nostra contemporaneità fatta di artisti bambini già viziati che immaginano i loro piccoli e rapidi schizzi pronti solamente per qualche asta milionaria.
Ilmar Kruusamae
Ilmar Kruusamae è il Fondatore di Kursi Kool Kond Artists’s Group ( Scuola Kursi ). È nato il 15 Luglio 1957 a Tartu in Estonia.
Nel 1980 si è laureato in Economia all’Università di Tartu. Dal 1976 al 2000 ha operato nello Studio d’Arte dell’Università di Tartu. Dal 1980 si definisce artista freelance. Dal 1984 ha operato come mail-artist. Dal 1988 è membro dell’Associazione degli Artisti Estoni. Dal 1989 è membro dell’Associazione degli Artisti Hawaiiani.
Egli si definisce artista autodidatta.
Parere del curatore
Le tele di Kruusamae sono impressionanti. Fin dalle prime ore d’esposizione ho potuto notare l’effetto scioccante di questi immensi primi piani sulla gente che passava avanti la galleria e anche nei vostri occhi. Per Kruusamae le dimensioni contano eccome!
Inizialmente Ilmar era appassionato di insetti e piccoli animali che rappresentava sempre su tele di grandi dimensioni spesso per il piacere del fratello.
Dovete paragonare quindi queste immagini alle macro, quelle riprese degli insetti o dei fiori o delle sostanze chimiche. Quindi una volta tarate le opportune dimensioni la rappresentazione diviene una porta d’ingresso nel proprio mondo. Questi primi piani occupano tutto il nostro campo visivo e quindi divengono una esperienza totalizzante.
Ecco vedete il ritratto di Good Eha e quello di Brother Albert o di Kylli Suitso o quello di Matti, non sono solo ritratti, sono biografie.
Tutto ciò che ci accade nella vita rimane trascritto in una piega del volto, nella luce degli occhi, ebbene con queste riprese macro, l’artista vuole scavare e registrare le testimonianze occulte che svelano il dramma dell’esistenza e il mistero della vita. In particolare mi soffermo sugli occhi, che Ilmar definisce la parte più complessa da creare. Gli occhi sono l’accesso al mondo interiore, alle emozioni più profonde e intime dell’uomo. In un’ottica puramente tecnica diviene quindi indispensabile sovra-dimensionare il soggetto per scoprire i piccoli dettagli nascosti e portarli alla luce.
Potrei dire che Ilmar abita e gestisce due dimensioni, esse non sono separate ma convivono nella realtà sono tangibili entrambe. L’una è quella dell’esperienza sensibile che ognuno di noi sperimenta, l’altra pur facendo parte della prima rimane sempre celata: è il mondo microscopico che registra e testimonia nelle sue pieghe nascoste, nelle luci e nelle ombre, il passare del tempo.
Ilmar crea un’opera ed una forte emozione, utilizzando la testa calva e gli occhi di Matti. Sarebbe semplicemente una testa calva, sarebbero semplicemente due occhi ma ridimensionati e trasposti sulla tela divengono uno strumento di grande potenza e carica espressiva trasmettendoci tutto lo spirito indomito e scaltro di Matti, la sua intelligenza e le traversie della sua vita passata. Possiamo veramente dire di aver conosciuto Matti; e la malinconica dolcezza di Good Eha e la meraviglia fanciullesca di Albert e l’intimistica introversione di Suitso.
Albert Gulk
Albert Gulk è nato il 17 Febbraio 1969 a Antsla in Estonia.
Nel 1996 ha conseguito il Diploma in Belle Arti all’Università di Tartu. Espone dal 1988. È membro dell’Associazione degli Artisti Estoni dal 1995. Egli ama definirsi artista freelance.
Parere del curatore
Ritengo che nel momento in cui anche voi avete compreso di cosa si tratta avrete considerato queste opere un immane lavoro. Sono disegni fatti a matita su carta delle dimensioni di cm 150 x 400. Gulk è considerato in Estonia uno dei più grandi disegnatori ma non solamente per le dimensioni delle sue opere.
I suoi capolavori sono freschi originali dissacranti ironici sconci scandalosi e puri.
Albert Gulk, come del resto tutti gli artisti del Kursi Kool Kond, è un sognatore. Produce nel disegno delle storie, delle fiabe che potrebbero essere proposte ad un cantastorie; nel contempo egli è libero di esprimersi personalmente senza più alcun legame con l’accademia e dalla sua matita scorrono via con stupefacente facilità le figure mentali e immaginifiche o il frutto della eccitazione carnale, della sensualità, dell’autoerotismo sfrenato.
C’è un filo conduttore, se è necessario trovarlo, che mi riporta alle opere di HR Giger, il grande artista svizzero autore de “noi bambini atomici”. Negli arabeschi di corpi e occhi e seni e genitali e muscoli e oggetti cultuali rivedo una simile ossessività compulsione psicosi e una simile celebrazione apologetica dynatonica iperbolica retorica e ironica al contempo.
L’ossessione per il seno materno e l’alimentazione ne “LATTE E SODDISFAZIONE” che pare una regressione psicotica totale alla fase orale in un mammario tripudio lubrico e lascivo paragonabile anche alla medesima affezione che subiva il grande Federico Fellini, qui rivisto in una versione cyber punk un poco sadomaso con sincero compiacimento. Questa incessante e inarrestabile smania di pieno di sazio di nutriente che irrompe come può solo la forza vitale ma che diventa ostinazione accanimento e quindi ripetizione compulsione ossessione.
La celebrazione apologetica e iperbolica ne “MONUMENTO”: omaggio al fallo, come nella più antica tradizione, od omaggio alla congiunzione carnale od omaggio alla sfrenatezza dei sensi e al libero e molteplice uso del nostro corpo. Rappresentazione amplificata e distorta dalla psiche; dimorfofobia esaltante; forse sintomo o segnale di una realtà che ci rifiuta, che ci vuole sempre “altro” o “diverso” senza lasciarci veramente liberi di essere unici e personali. Un conflitto tra il ricatto egocentrico del consumismo e il conformismo del consumo. Di qui sfogo della emotività e della violenza sanguigna del creativo che fa esplodere con la bomba carta carica di grafite la sua visione delle cose.
Sono chiari i riferimenti alla condizione umana odierna, ipertrofica amorevole e spietata sessualmente emancipata ma psicologicamente immatura e instabile, che non ha mai rotto il cordone ombelicale che non è ancora maturata. Che dalla culla è passata alla televisione e che dal regime è passata al mercato. Anime sbandate cui si dice che il bello non è più tale e che l’opera non vale se non fa schifo. Ci siamo tutti.
Tuttavia il senso del macabro di HR Giger è qui intelligentemente sostituito dalla tradizione che è troppo forte per non riemergere e che sarebbe delittuoso respingere e rifiutare: la fiaba.
La fiaba è la caratteristica pura e ancestrale dell’arte dell’est, pensate pure che sia un luogo comune ma è così. È una realtà ed Albert Gulk infonde in queste immagini che potrebbero con nulla diventare dure e pesanti e opprimenti il senso leggero e flautato della fiaba in cui svolazzano amore e morte mistero e magia carnalità e spirito, con perfetto equilibrio.
Anche per Gulk le dimensioni hanno un ruolo, sono necessarie. Egli dice che quando faceva piccoli disegni la gente lo ignorava ma quando ha iniziato a fare grandi disegni allora la gente ha iniziato ad apprezzarlo. Forse perché i suoi disegni sono tanto ricchi?
Può darsi ma forse anche perché nelle stesse dimensioni si esprime la forza delle passioni che Albert Gulk fatica tanto a trattenere, il suo stesso corpo pare compresso e teso nello sforzo di trattenersi.
Peeter Allik
Peeter Allik è tra i Fondatori di Kursi Kool Kond Artists’ Group ( Scuola Kursi ).
È nato il 28 Giugno 1966 a Põltsamaa, in Estonia. Nel 1993 ha conseguito il Diploma in Belle Arti all’Università di Tartu. Espone dal 1988. Egli è membro dell’Associazione degli Artisti Estoni dal 1995.
Parere del curatore
L’artista ha esposto tre grandi opere, sono incisioni su linoleum, una tecnica attualmente poco utilizzata forse perché piuttosto complessa. L’artista incide il linoleum con appositi bulini e poi usa la pellicola come matrice per la stampa.
Peter allik ha un carattere duro e polemico, è l’arrabbiato del gruppo, forse il più idealista e il meno sognatore e crede profondamente in quello che fa.
Racconta di aver esposto assieme a Gulk le sue opere in un albergo di Tartu di sorpresa durante la notte e di come i clienti e i titolari dell’albergo al loro risveglio si siano spaventati ma non abbiano chiesto di rimuovere i disegni per timore che fossero stati messi lì dal governo di mosca.
Peeter è un reduce, potrebbe benissimo essere un artista espressionista nella Germania nazista tale è il suo vigore polemico ma nella contemporaneità esso si stempera e si addolcisce in una dissacrante tensione sarcastica e ironica.
Così è “L’ARTISTA E LA SUA GALLINA” nel quale il povero artista ha le mani divorate da quel piccolo animale domestico fonte di cibo. Tale è il senso d’impotenza e di frustrazione di chi osa nel campo dell’arte.
Così è “UN’INUTILE SOTTIGLIEZZA” in cui il ragazzino furbetto spara un colpo di rivoltella in testa a quello che pare essere un uomo di legge o un arrogante personaggio di potere. Inutile sottigliezza perché tanto di quei tipi ce ne sono fin troppi che ammazzarne uno è solo un dettaglio?
o perché non serve prendere tanto la mira ma basta sparare per uccidere subito senza tante smancerie?
Entrambe le ipotesi sono valide. L’artista di questa stampa dice anche “UNA RONDINE NON FA PRIMAVERA” e quindi forse vale anche l’ipotesi che ammazzarne uno ogni tanto non significa risolvere il problema.
Peter allik si professa contro la guerra e la sopraffazione ma, in tutto ciò, fatico a intravedere un messaggio di pace ma tant’è sulla tela tutto è concesso all’artista.
O no?
L’opera “SOLDIERS” dovrebbe appunto inquadrare la questione, soprattutto se affiancato a “PIGS”, come per fare un parallelo tra soldati e maiali, carne da macello, carne da cannone, soldati maiali.
Peeter Allik è l’artista più diretto, in lui il media dell’arte è funzionale all’invio di segnali forti alla nostra società più che una riflessione sulla condizione umana. È l’artista più contemporaneo del gruppo ed è anche quello che ha tralasciato del tutto la tradizione ancestrale della fiaba, almeno nelle opere qui presenti.
Egli incarna due lati di una medaglia. Da una parte è polemico ed ostile a certi modi di intendere l’arte della contemporaneità e si oppone apertamente e pugnacemente alla retorica imposta dal potere costituito, dall’altra, la sua creatività incarna gli stessi contenuti di cronaca e attualità che spesso vengono strumentalizzati da finta arte contemporanea che tralascia la costruzione di una struttura e un linguaggio articolato e complesso.
Peeter Allik forse è consapevole di giocare in equilibrio su un filo di lana ma la sua impetuosità e la sua rabbia idealista gli rendono omaggio.
Pajos Priit
Pajos Priit è nato il 15 Settembre 1971 a Turi in Estonia.
Nel 1998 ha conseguito il Diploma in Belle Arti all’Università di Tartu. Espone le sue opere dal 1995. È Membro dell’Associazione degli Artisti Estoni e fa parte della Scuola Kursi dal 2000.
Parere del curatore
Pajos introduce nella sua pittura una visione legata a rimandi religiosi ma con intento diverso dal fratello Pangsepp. Prevale qui una rappresentazione simbolica. Il costrutto richiama sempre la tematica del racconto ma questa volta incentrato sulla traccia della parabola evangelica. I “FRATELLI”, il “MESSAGGERO”; gli “UOMINI DI MEDICINA” i “FIGLI DEL RE FOLLE” il “RE DEGLI ANIMALI” paiono essere tutti richiami di parabole tratte da un manuale di buona morale o da testi sacri come la Bibbia.
Potrebbero richiamare valori quali: la fratellanza, la promessa della vita ultraterrena, i truffatori e i filistei, i folli, la favola mitologica di saturno.
Anche i colori utilizzati e le forme richiamano una pittura antica, potrei dire di tipo fiammingo per certe tonalità o qualcosa di caravaggesco nella ricerca sulla luce propria del colore.
Le opere hanno certo un intento morale ed esemplificativo e non nascondono una certa carica retorica che potrebbe anche apparire troppo dominante del resto Pajos è il più giovane del gruppo e forse la sua pittura deve ancora trovare una sua dimensione completa.
Tuttavia caratteristica e personale essa è legata più d’ogni altra alle tradizioni nordiche ed alla terra. Non esiste una dimensione intima e una introspezione psicologica come per Pangsepp. Potrebbe essere la parodia di un delirio degno del Savonarola o una reminiscenza di medievalità in pieno XXI secolo, una nostalgia o un monito?
Propenderei per un monito.
I figli del Re folle paiono pronti per essere divorati come fece Saturno, le colpe dei padri ricadranno sui figli. Sullo sfondo appare un paesaggio da inferno dantesco.
Il Re degli animali è un pazzo o un decerebrato circondato dai suoi simili mentre in un angolo si ritrae l’artista che, smascherandosi, suggerisce il silenzio per non disturbare lo svolgimento dei fatti e vedere cinicamente come va a finire.
Gli uomini della medicina sono dei truffatori venditori di fumo approfittatori e malvagi, disposti a tutto per prendere il sopravvento sull’ignoranza della fragile donna preoccupata per la salute del figlio.
I fratelli paiono attendere la morte del padre per arraffare il suo potere mentre dietro, nell’ombra tacciono addolorati i sudditi. Addolorati per la morte del padrone o addolorati per quello che dovranno subire dai suoi figli viziati?
Il messaggero che appare sul letto di morte del potente di turno è un angelo?
O è il messaggero dell’inferno che porta notizia al moribondo che nell’aldilà sono pronti a fargliela pagare?
Dall’espressione crucciata e apprensiva del vecchio morente propenderei per la seconda ipotesi.
Nessuna pietà quindi. Questo mondo contemporaneo è ancora abitato da entità e valori che emergono direttamente da un passato oscuro e i tempi sono ancora quelli piuttosto bui della prevaricazione della violenza dell’abuso di potere e dell’ingiustizia. L’artista è spettatore esterno e distaccato, forse un poco troppo moralista e al di sopra; ma questo fa parte della sua personalità messianica e della sua propensione al misticismo.
Pangsepp Priit
Pangsepp Priit è nato il 20 Gennaio 1966 a Kohtla-Jarve, in Estonia.
Pangsepp Priit è tra i Fondatori di Kursi Kool Kond Artists’s Group ( Scuola Kursi ). Ha conseguito il diploma alla Scuola d’Arte di Tartu nel 1985. Espone dal 1984. È membro dell’Associazione degli Artisti Estoni dal 1992.
Parere del curatore
Pangsepp è un uomo schivo, riservato introverso delicato. Gli avvenimenti hanno effetto su di lui ma con lentezza sono manifesti, il suo umore è stabile e quieto e cambia con poca facilità.
Nelle sue tele egli predilige il colore al segno e le rafforza con l’oro. È ispirato ai surrealisti. Colori che richiamano Klimt atmosfere che ricordano Chagall. Una realtà bidimensionale come per Kruusamae, ma qui il dialogo è tra la veglia e il sonno artefice del sogno che non può non rinnovarsi pena l’eterna veglia.
Un amore tenero e sconfinato per la vita e il rifiuto dell’oblio. Il desiderio beatificante di un amore assoluto semidivino e eterno, la ricerca mistica della santità con la blasfemia della fisicità; religione corporea, orgasmo come sublimazione della gioia ultraterrena.
Anche in Pajos sussiste questa presenza messianica o il delirio ascetico proprio dei santi o aspiranti tali che erano poi quelli più traviati di tutti dai sensi mentre il resto della gente si preoccupava di trovare cibo e riparo.
La pittura qui diventa strumento di purificazione dell’anima o di elevazione dei sensi a qualcosa di più rispetto alla loro inevitabile caducità umana.
Ecco quindi “SPIRITO” e “SANT’UOMO”. Come vedete in queste tele la realtà carnale è messa a confronto con l’ipotesi metafisica del divino. Il risultato è appunto l’elevazione e la beatitudine sancita dall’atmosfera pacata e i colori delicati e sfumati e la componente appunto divina dell’oro.
Ecco ancora “MEZZANOTTE” e “VIDI UNA DONNA NELLO SPECCHIO”. Nel primo è manifesto il sogno che porta l’artista in un’altra dimensione in cui ogni volta si svolge una storia o una fiaba diversa.
Ecco che ritorna ancora il tema forte della tradizione. Il sogno giunge appunto a mezzanotte; in un umano momento convenzionale di sospensione temporale si verifica un fatto in cui hanno ragione forze extra terrene e non controllabili di cui l’artista è piacevolmente oggetto.
Esso pare simile anche alla forza incontrollabile del piacere fisico che l’artista potrebbe interpretare come espressione del divino nel corpo umano. Nel secondo appare la trasfigurazione del corpo che si fa anche donna e quindi raccoglie in sé li Yin e lo Yang assurgendo ad un’anelata perfezione fisica e morale in cui infine si può generare solamente l’eterno piacere e la finalmente conquistata natura divina.
Il dogmatico potrebbe interpretare tutto ciò come superbia ma non è così. Pangsepp attinge dalla religiosità concetti chiave che traspone nel suo linguaggio pittorico in cui confluisce una profonda ricerca psicologica incentrata sulla condizione umana spirituale e morale più che collocabile in un contesto sociale. Egli non è l’uomo del “perchè esistiamo e chi siamo” ma l’uomo del “perchè io esisto e chi sono” non meno interessante ed utile.
L’artista non si ripara nei suoi dipinti, non fugge dalla realtà non si rinchiude in una gabbia dorata ma cerca nel piacere, nella pace interiore e nella serenità una guida morale, una legge divina che possa essere fonte di equilibrio e amore universale.